L’incontestabile ampiezza di leggere

Valori. Che cosa sono. Qual è il valore di un valore? Sapreste quantificarlo? Supponiamo di dover obbligatoriamente rispondere al secondo interrogativo posto sotto il riflettore, e la prima cosa che sicuramente viene in mente è la necessaria soggettività della risposta: come si potrebbe essere oggettivi riguardo alla quantificazione, o addirittura all’assegnazione di un valore? Un valore è totalmente intangibile, trasparente, fisso o non fisso nella testa delle persone, è pura nebulosa. Ho paura che non sia in alcun modo possibile attribuire valori a qualcosa, se non credendoci fermamente. Eppure, lo si fa continuamente. Allora come identificarli? Chi stabilisce che la “famiglia” è un valore, se non delle idee convenzionali? Attribuirne uno (o molteplici) a qualcuno, o qualcosa, allora, diventerà estremamente arduo. Proviamo però ad assegnargliene uno, a questo qualcosa.

Ebbene, dovrà essere figurativamente largo, che possa metterci nella condizione di trarne idee e che faccia quindi scatenare la nostra immaginazione, così da creare un ventaglio di possibilità, apprezzabili e odiabili. Nel nostro mondo, quello del 2.0 (magari anche del 3), i più che leggeranno questo scritto si auto indirizzeranno sicuramente verso un solo e unico non-elemento: Internet. “Puoi arrivare ovunque, sul web”, la frase che solitamente viene detta ai nonni dai nipoti ogni qualvolta si trovano nella scomoda situazione di dover spiegare come sia possibile conoscere le previsioni meteo della settimana seguente, senza guardare la tv. Eppure, sento di dover dissentire. Internet non arriva ovunque, e allo stesso modo non è affatto ampio, anzi, è limitato, e la prima cosa che indica questo limite è la barra verticale lampeggiante sotto alla scritta colorata “Google”. Il vuoto. Ed è forse ampio il vuoto? Io non credo, ma è solo la mia opinione. Esiste ben di più, e in particolar modo, questa ampiezza trova un caldo focolare davanti al quale a cui poter essere sé stessa, in una casa che troppo spesso viene trascurata: la letteratura. Eccolo, dunque il valore fondamentale (e soggettivo) da attribuire. Ampiezza. Valore o meno che sia, si tratta lo stesso di qualcosa in cui credere (o non credere); d’altronde, riallacciandoci ai quesiti di prima, chi stabilisce quali sono i valori? Calvino, nelle Lezioni Americane, conferisce alla “Leggerezza” il titolo di valore: perché non farlo anche con l’ampiezza, dunque. Cosa porti a questa considerazione, non mi è ben chiaro, ho lasciato che il flusso mi trasportasse ad asserire tutto ciò; quel che so, però, è che la ritengo vera.

La letteratura è ampiezza, in ogni forma, qualunque sia lo stile utilizzato, a prescindere dal colore della copertina del libro, per ogni lettore che ci si trovi a contatto.

Avrei voluto parlare di come l’idea di leggere, o più semplicemente quella di aprire un libro, per me simboleggi un forte sentimento di evasione, ma evadere è strettamente connesso al punto di arrivo che si vuole raggiungere ogni volta che si prova a farlo, e quel punto non potrà che essere inesorabilmente ampio. Provate a riflettere: qual è il luogo per antonomasia da cui si cerca di evadere? Ovviamente una prigione, stretta, grigia e contundente; e allora verrà piuttosto naturale immaginare la fuga in uno spazio aperto, luminoso e morbido. In altre parole, ampio. Ecco perché l’ampiezza. Qualsivoglia sia la prigione da cui si cerca di scappare, la letteratura fornirà sempre un biglietto di sola andata quotidiano, per soccorrerci nell’impresa. Mi piace pensare, inoltre, che questo concetto sia ben presente nella mente di ogni lettore e che, ogni giorno, il suddetto trascorra le sue giornate in attesa di raggiungere quel bosco primaverile sconfinato, o quella vetta dal panorama silenzioso. Questa è la letteratura, oltre i contenuti e oltre la forma. Qualcosa di superiore. È Ampiezza, con la maiuscola. Concludo spezzando una lancia in favore della mia tesi, citando, più o meno fedelmente, un frammento di letteratura moderna che parla proprio di questo sostantivo, che soltanto per oggi, magari, chiameremo valore. Pennac, nel suo Il paradiso degli orchi ha giustamente scritto:

“Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento non occupato dal lavoro o dai pasti, perfettamente libero; una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l’ampiezza del disastro. Con questo davanti agli occhi, la giornata sarebbe migliore”.

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