Pensare oltre l’umano
Cosa succede quando proviamo a raccontare il mondo con occhi che non sono i nostri? Scrivere da un punto di vista non umano è un esperimento radicale che mette in crisi la centralità dell’essere umano come soggetto narrante. Questo tipo di scrittura sposta l’asse dell’empatia e apre spazi di riflessione ecologica, etica e linguistica. È un’operazione che si ritrova, ad esempio, nel romanzo Lo scoiattolo e il graal di Muriel Barbery, dove l’animale osserva l’uomo con distacco e ironia.
L’albero che racconta
Un albero può raccontare? Richard Powers, con Il sussurro del mondo, dimostra che ciò è possibile, esprimendolo con una forza e una poesia straordinarie. Gli alberi, in questo romanzo corale, diventano protagonisti invisibili ma centrali, connessi ai destini umani e capaci di esprimere un tempo narrativo più ampio, ciclico, silenzioso. Scrivere come un albero significa rallentare, abbandonare la fretta umana, pensare in radici, foglie e stagioni.
L’algoritmo narratore
Scrivere da una macchina è un’operazione che autori come Ian McEwan hanno affrontato in Macchine come me, dove l’intelligenza artificiale sviluppa pensiero, coscienza e conflitto. Ma già nel racconto The Machine Stops di E. M. Forster, la tecnologia diventa voce dominante. In questi casi, la narrazione si piega a una logica diversa: più analitica, meno emotiva, eppure capace di interrogare profondamente la natura umana attraverso l’alterità digitale.
Scrivere da bestia
Molti autori hanno tentato la sfida di scrivere da una prospettiva animale: da Moby Dick di Melville, dove la balena diventa un simbolo oscuro e potente, a Io sono un gatto di Natsume Sōseki, che racconta la società giapponese da un punto di vista felino, cinico e sferzante. Più di recente, Il canto del lupo di Jean Hegland adotta la sensibilità lupesca per raccontare il mondo naturale. Questi testi ci mostrano quanto la scrittura possa cambiare assumendo corpi e menti altri.
L’empatia narrativa come rivoluzione
Scrivere da un punto di vista non umano non è solo un gioco stilistico: è un atto politico, ecologico, creativo. È una forma di empatia immaginativa che ci mette in ascolto dell’altro, anche quando questo altro non parla come noi. Da Kafka con La metamorfosi — dove Gregor Samsa si sveglia scarafaggio — fino alla narrativa postumana contemporanea, la sfida resta la stessa: immaginare ciò che sembra inimmaginabile. E forse, proprio lì, la scrittura trova il suo spazio più fertile.